lunedì 8 ottobre 2012

Ci penso, ci sono e ci faccio (da "L'Atipico" settembre-ottobre 2012)

Cogito, ergo sum.


Cartesianamente parlando, è dura farci. Pensiamo, dunque siamo, inconfutabile, inesorabile, perfetto.


Dunque, per non far torti a monsieur Lapalisse, verrebbe subito da aggiungere che il farci, necessariamente, comporta un non pensare .


Stolti, o voi che privilegiate l’esserci al farci!


Io ho qualche dubbio, in realtà, senza prendermi la briga di rinnegare il buon René, che, insomma, in fondo, ne avrà saputo più di me, lui-si-che-c’era-e-mica-ci-faceva-dai.


Credo, sinteticamente, che il farci a volte sia conseguenza necessaria delle condizioni esterne, adattamento, evoluzione.


Ecco, il solito manicheismo di provincia che mi porta a vedere due estremi, CI SEI O CI FAI, la differenza tra la normalità e la diversità, come se veramente chi c’è ci fosse veramente, e chi ci fa non sia consapevole di farlo, come se avesse ancora senso una distinzione di questo tipo, oggi.


Ci facciamo tutti (molto più della facile battuta, cit.), quando ci mettiamo la maschera del perbenismo, quando ci stracciamo le vesti e puntiamo il dito verso il faccendiere (nel senso, non politico, di colui che ci fa) di turno, quando crediamo di esserci, e non ci siamo.


Serpenti striscianti che cercano la preda di turno per attaccare improvvisamente, nascosti dietro volti di cera, dietro veli trasparenti, ma pesanti come macigni, come spade sguainate sentiamo l’energia prorompente del preliminare, quando pronti ci lanciamo su prede che inconsapevolmente ci fanno, come noi, ma non lo sanno.


Ecco, non me ne voglia René (o Renato, se potessi avere la certezza che non si sarebbe offeso), ma io non credo che siamo poiché pensiamo, io credo che siamo poiché ci facciamo, quando per finta non sentiamo, per farci ripetere belle parole da una bella voce, quando finti tonti cerchiamo di sfuggire al male, alla miseria, alla guerra, come pedine di scacchi, ma non re o regina, alfieri forse; in diagonale ci spostiamo, ed è l’unico modo che abbiamo per sopravvivere, giorno per giorno

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