Lungamente ho cercato di dissimulare l’evidente
manipolazione compiuta ai danni di svariati me, più o meno reali.
L’ho fatto, e lo continuo a fare, per credere di dare un
ordine, molto arbitrario, a deliberate voluttà quotidiane, chiudendole nella
gabbia della quotidianità, dando loro lauti pasti di perbenista normalità,
inquadrandole in una vita non proprio loro, non proprio mia.
Certo è proprio così che vanno le cose, cercare di adattare
il proprio sé al contingente (o tale forse apparentemente); cercare di trovare
una barca, non importa che sia zattera o yacht, perché si è stanchi di nuotare;
salire a bordo, e dimenticarsi poi di quant’era bello stare in acqua, faticare,
ma poi vedere quella luce nella quale lasciarsi andare.
Come ho già scritto e pensato molte volte, indossiamo sempre
delle maschere, più o meno attinenti alla faccia che c’è sotto; le indossiamo,
e molte, troppe volte ci dimentichiamo che quello è solo un ruolo, che rischia
di collimare, di assumere in sé tutto, proprio per questa fatale amnesia, o
volontaria scelta, chissà.
Ma ci sono dei momenti, delle notti soprattutto, nelle
quali, soli con noi stessi, infine comprendiamo, vediamo, in un’ansiosa
condizione di malessere, perché, magari in sogno, abbiamo visto qualcosa che ci
rimanda alla vera dimensione, “smascherata” dall’abitudine e dalla noia,
qualcosa che parla dritto alla nostra vera faccia, e guardandola negli occhi le
sussurra la chiave di volta; il cielo si rannuvola inizialmente, ma solo per
poi rischiararsi.
Forse, perlomeno per una giornata, passata poi a rimuginare
e a riflettere, forse troppo.