martedì 31 gennaio 2012

Pensieri in progress

Mi trovo spesso a pensare, a fare giri mentali fin troppo arzigogolati, che mi portano lontano dal punto centrale della situazione che sto affrontando, della persona con cui sto parlando o della materia che sto studiando.

Mi accade fin troppo spesso, ritrovarmi a fissare il vuoto di una parete davanti ai miei occhi, e a non ricordarmi da quanto tempo lo sto facendo, da quanto cioè quello che è sotto il mio naso si scollega totalmente da quello che è nella mia testa.

Qualcuno lo chiamerebbe sognare ad occhi aperti, ma non è concettualmente esatto; chiamare sogno un flusso sconnesso di pensieri non mi pare corretto, una forzatura non necessaria.

Superfluo mi sembra perfino aggiungere che questa pagina è ormai diventata uno spazio per aggiungere qualcosa a quei viaggi neuronali; una formalizzazione, una materializzazione assolutamente e decisamente utile al mio desiderio mai nascosto di esprimermi tramite la forma parola, perfetto compimento di qualsiasi percorso mentale,  che sia reale o immaginario,  sogno, semplici pensieri o logici ragionamenti assolutamente giustificati

.

Di certo non pretendo di cambiare niente, ma questo è quello che ora mi serve, è quello che voglio che mi serva: la “scrittura” come coadiuvante dei miei pensieri, lo è sempre stato e lo sarà.



Comunicazione di servizio

Torno al vecchio modello, per ragioni pratiche e di funzionalità.
Non appena google avrà reso i nuovi modelli oltre che dinamici anche utilizzabili con i gadget etc tornerò correndo...

per ora rimango con la vecchia visualizzazione, che anche se più brutta mi permette di gestire meglio il tutto

grazie..
nel frattempo prima traccia del nuovo album del TdO, anche se non c'entra niente ( o forse sì)




Elucubrazioni Mattutine 8 (o della neve)

Allerta meteo, tutti con le antenne rizzate: arriva la neve!

La neve, che tanto piace agli studenti liceali (purtroppo) svogliati e disillusi, tanto odiata da chi ha un sacco di cose da fare, tanto cara alle ragazze alle quali un paesaggio innevato paradossalmente scalda il cuore.

Pare che stia veramente per arrivare, tutti sono d’accordo, piani d’emergenza pronti, sacchetti di sale lungo le strade, per evitare di ripetersi nell’impreparazione imbarazzante che l’anno scorso ci aveva bloccato tutti, ricordandoci, come spesso accade con eventi naturali, che il nostro desiderio di controllare l’andamento delle cose non può ancora dirsi completamente soddisfatto.

La natura ogni tanto ci ricorda che è sempre lei che comanda, senza deroghe, né deleghe; che noi abbiamo il controllo fino a un certo punto, oltre il quale le regole che ci siamo imposti non valgono più; perciò non mi piace la neve, e quando esce lei mi rinchiudo io.



Voglio credere a quello che dico



Non voglio restare muto come un pesce
in un mare ormai prosciugato
non voglio credere solo a quello che vedo

voglio parlare, anche per dire notorie ovvietà
voglio urlare, anche solo per il dolore che ogni tanto sento
voglio poter esprimere tutto quello che ho in questa testa
non voglio credere solo a quello che vedo

la mia voce è uno strumento cui non posso fare a meno
non voglio credere solo a quello che vedo
voglio credere a quello che dico
che è qualcosa di diverso

posso inventare mondi, universi paralleli
e farli esistere, se lo penso, se lo dico
ma se lo dico voglio dirlo a modo mio
non voglio restare muto come un pesce, 
ma nemmeno essere un juke boxe senza più dischi

non voglio credere solo a quello che vedo
voglio credere a quello che dico






Per RadioZio

lunedì 30 gennaio 2012

Un'altra buonanotte

Ancora una volta, qui ad aspettare che il sonno sopraggiunga con le sue ampie braccia.

Che arrivi, fagocitando pensieri scollegati dalla realtà che usualmente mi tiene stretta a sé, ma che in questi momenti sembra fregarsene, lasciandomi andare, viaggiare colla mente verso alt(r)i lidi.

Ah, indicibile bellezza della notte, quando senti il peso dell'intero mondo addosso, ma non sai scrollartelo via.

Buonanotte.

domenica 29 gennaio 2012

Elucubrazioni mattutine 7

L’inizio di ogni nuovo giorno è un rito.

Tutto deve essere al suo posto, collocato nel giusto spazio, nei giusti tempi e nei giusti modi; forse è solo abitudine, forse è solo la mia ossessività, ma se nella prima mezz’ora dopo che mi sono alzato non compio quei piccoli, abitudinari, quotidiani gesti mi sento fuori posto, alienato, strano.

Sto parlando di quelle piccole manie, che spero di non essere l’unico ad avere, come mettere lo scottex in un particolare verso, poggiare il coltello con la lama rivolta all’esterno, insomma trovare a tutto il suo ruolo attivo nel mio piccolo insignificante universo.

Mi rendo conto sempre che forse non ha senso, ma per certo so che è meglio non rischiare, consapevole come sono del fatto che la ritualizzazione comporta un attaccamento a quello che si fa che raggiunge livelli forse ridicoli di divinizzazione manifesta.

L’inizio di ogni nuovo giorno è un rito, almeno per me, un rito cui non riesco a fare a meno.


Buonanotte

La notte è qui.

Attende il nostro lasciapassare per entrarci dentro, assuefacendoci al suo abbraccio.

Attende, consapevole che ci lasceremo andare, che non sapremo resisterle.

Perciò buonanotte, a chi ha un sogno che lo aspetta, buonanotte a chi è solo e teme il giorno che verrà, e anche, e soprattutto, a chi pensa che per tutto quello che potrà succedere, ci sarà sempre un sole pronto a sorgere imperituro e brillante.

Buonanotte.

giovedì 26 gennaio 2012

Elucubrazioni Mattutine 6

Provo sentimenti contrastanti di fronte all’abitudine, alla routine quotidiana che scandisce i ritmi della mia vita.

Da un lato la trovo rassicurante, fonte inesauribile di sicurezza, come se fosse una rete e io mi stessi per buttare da un palazzo di 30 piani; d’altro canto mi trovo spesso a denigrarla, a pensare che mi tolga linfa vitale, mi privi del piacere della novità, della voglia di fare, di pensare, di credere in qualcosa di diverso.

Certo è che come arriva qualcosa di nuovo, tend(iam)o a incasellarlo, a renderlo facilmente archiviabile, riconducibile per forma o contenuto a qualcosa che già c’è stato, a renderlo abitudinale.

Lo troviamo così maggiormente controllabile, più facile da gestire, meno scivoloso, e forse è giusto, ché così entra a far parte di una vita tutta basata e fondata sulla ripetizione infinitiva di gesti, pensieri, persone.

Niente di nuovo finché non arriva qualcuno o qualcosa a cui non riesci a trovare un posto, completamente destabilizzante dell’equilibrio faticosamente raggiunto, quel qualcosa che fa crollare tutto.

In tutto questo rimane una sola parola d’ordine: scrivere, per sfogarsi, sdegnarsi, ricordare e farsi ricordare.

Come diceva il buon vecchio Henry Miller:


“Scrivi come prima cosa e sempre. Quadri, musica, amici, cinema, tutte queste cose vengono dopo”.


mercoledì 25 gennaio 2012

Elucubrazioni Mattutine 5

Sembra una bella giornata quella che appare ai nostri occhi oggi.


C’è un sole abbastanza funzionale a scaldare i nostri corpi che iniziano a rattrappirsi, a sentire il peso del letargo, e a sognare, a vedere il risveglio meritato.

Potenzialmente è una giornata perfetta, come tutte le altre del resto, che poi in atto si trasformano, diventando, contingentemente o necessariamente, per colpa o merito nostro, da ricordare, da dimenticare o indifferenti.

Giornate piene, lunghe, che mi fanno sentire vivo, come questa che mi appresto a iniziare sono una manna da quel cielo che oggi non disturba, non corrompe.

Sì perché in fondo, quello che ci serve è qualcosa da fare, in ogni momento, le tregue ridotte ai minimi termini, lo spazio per se stessi (come questo “blog”) ritagliato in pause, attimi diversamente abili a procurare altrimenti fiacchezza, spossatezza, coscienza del proprio sonno.

Avere vent’anni (quasi ventidue a dire la verità) è impegnarsi in tutto quello che si fa, e farne una marea, è sentirsi in grado di spaccare il mondo, ambire a diventare qualcuno, e porselo come obiettivo, non lasciando spazi vuoti, rendendoli semmai occasioni di crescita (ed equità?), apprendimento, etc. etc. etc.

Adios



Tra lucidità e follia c'è solo una sottile linea rossa

È forse la natura, quella lussureggiante e apparentemente accondiscendente verso l’uomo di Guadalcanal, Isole Salomone, l’unica, vera protagonista de “La Sottile Linea Rossa”, film dalla lunghezza epica (170’, circa la metà rispetto al montaggio originale..), come quella che si frappone fra i film di Malick, regista che circonda ogni sua opera di domande, significati, visioni che non sono mai riducibili a meramente filmiche, ma che si strutturano e danno forma, sempre e comunque, a vere e proprie esperienze emozionali intense.

Di certo non lo sono i seppur molteplici (e interpretati da un cast eccelso, anche e soprattutto nelle comparse e nei cameo) personaggi che appaiono, scompaiono, si avvicendano insieme ai loro tormenti interiori, in un vortice di domande esistenziale, di conflitti interiori sulla malvagità dell’umano, sull’innocenza perduta, che organizzano il film, lo dirigono, gli danno la vera compiutezza formale e contenutistica.

Questi ragazzi che si trovano a combattere una guerra ignari di quello che li aspetta, che cambiano, crescono, muoiono in quell’inferno/paradiso si pongono le domande che noi vorremmo porci (se fossimo più profondi).

La dicotomia natura/conflitto (riproposta anche nel successivo The Tree Of Life) è centrale, ma gli si affiancano quella fra buio e luce, vita e morte stesse, ma tutte queste dualità non si contrappongono, bensì si fondono, si uniscono a creare l’uomo, quello pieno di dubbi, quello vero.


In definitiva, un bellissimo film, non facile, ma che ti si infuria imperioso dentro, senza andare più via.



“Buio dalla luce, conflitto dall’amore: sono frutti della stessa mente, tratti di uno stesso volto?”


“La guerra non nobilita l’uomo, lo fa diventare un cane rabbioso, avvelena l’anima”



martedì 24 gennaio 2012

Elucubrazioni mattutine 4

Notti strane.

Ti sembra di dormire bene, tranquillo, magari incorniciato da qualche sogno, ma poi ti svegli la mattina e hai una confusione mentale che manco inception potrebbe rendere bene l'idea.

Continuo quindi la mia serie di elucubrazioni mattutine con quella che forse è la peggiore ma più comune: la confusione, quella condizione semi comatosa che tutti la mattina abbiamo ma che certi giorni si acuisce, portando la vittima in un limbo nel quale non riesce a fare niente se non dopo qualchè caffè e diversi minuti che sembrano però ore.

Quel caos mentale in cui si mescolano i sogni notturni, quelli a occhi aperti, quelli degli altri, creando un unicum neuronale che devasta, insieme a una sensazione di disprezzo verso il genere umano non indifferente, che sommandosi a quella normalmente in dotazione forma un mostro.

Svegliarsi male. Mi ci vuole un caffè, un altro.

Come ha detto David Lynch sull'Huffington Post ieri: "even bad coffee is better than no coffee at all"

lunedì 23 gennaio 2012

J edgar

È un Eastwood un po' annacquato quello che racconta la storia di una delle più importanti "eminenze grigie" (ma manco tanto grigia) della storia americana e non solo, quel j.edgar hoover nato e morto a Washington e che ha trasformato l'FBI da corpo corrotto e connivente coi poteri forti a quel gruppo integerrimo di agenti da film e serie tv (il migliore: agente Dale Cooper di Twin Peaks).

Vuole mettere in primo piano l'uomo Clint Eastwood in quella che è un'ulteriore tappa del suo cinema sussurrato, di quel dipinto enorme sull'America che in questi anni ha costruito.

Ma il risultato questa volta è sottotono; non convince quel rapporto gay descritto forse troppo macchiettisticamente nè la figura opprimente della madre che ne sarebbe causa scatenante.

La regia è qualche volta fin troppo poco presente e il trucco in qualche caso oggettivamente irreale.

Da salvare sicuramente alcune scene, sulla sensazione di potenza di un uomo "da interno" (dove quasi tutto il film è girato) che guarda dall'alto del suo ufficio la sfilata di ogni neopresidente.

Deludente.

Elucubrazioni Mattutine 3


Per la terza mattina consecutiva mi trovo a scrivere in questo spazio gentilmente concessomi dal web, scrivere, senza in fondo dire niente, niente che possa interessare a molti di quelli che (forse) mi leggono, niente che possa servire; scrivo per sfogare la mia ansietà, le mie paure, la mia incazzatura, lo faccio ma non serve, visto che mi ritrovo comunque ansioso, impaurito, sempre più incazzato.
Non ce la faccio più, non so quello che voglio, poi lo so poi non esiste più.

Niente concessioni, qui. Solo perdite, solo te e la tua testa frullante di idee, progetti, cavolate, e forse questo è il problema, percorrere percorsi neuronali per costruire un castello che sai che è fatto di sabbia, ma non riesci comunque a non tirare su quelle mura, ché in quel momento sono la cosa più importante, non riesci a non tirarle su, ma nemmeno a frenare il vento che te le distruggerà inevitabilmente e inesorabilmente, come una panacea che cura tutti i mali, ma al contrario, ti distrugge.

È come avere un autocad nel cervello che al primo stimolo esterno ci monta sopra chi sa che, senza sapere le coordinate; al minimo cambiamento esterno, un progetto di vita.

Il problema è che certe volte ci credo di più e così quando arriva quel vento caldo che butta giù tutto è come fossi anch’io fatto di sabbia, e mi ritrovo a pezzi, anzi a granelli.

domenica 22 gennaio 2012

Elucubrazioni Mattutine n° 2


Il buongiorno si vede dal mattino, dicono.
Innanzitutto mi sono svegliato tardi, che è uguale a dire mezza giornata persa, ore in meno per studiare, per fare cose, vedere gente (citando il buon vecchio Nanni, nominato giustappunto ieri presidente della giuria di Cannes, sua vera patria).

Equivale a dire che la notte è stata infausta, o in ogni caso non foriera del consiglio o del riposo necessari a svegliarsi presto e affrontare “di petto” una nuova giornata, una domenica che si presenta dalle tinte piuttosto fosche, all’esterno come all’interno.

Equivale ad ammettere che il tuo doppio cazzone vorrebbe uscire, anche se tenti sempre di incarcerarlo, di rinchiuderlo, che vuole avere la sua epifania, come il sole che questa mattina appare un po’ stanco, come non avesse più la voglia di continuare.

Ma in fondo, mi sono svegliato solo un po’ tardi, e sto facendo le solite “elucubrazioni mattutine”, senza sapere veramente il perché e senza sapere nemmeno se queste abbiano un senso, e se non siano in realtà solo schermi dietro cui mascherarmi, mura dentro le quali rifugiarmi per non affrontare l’inaffrontabile.

Sono stanco, nonostante l’ora in cui mi sono alzato da quel letto, ma stanco di una stanchezza atavica, quasi irrimediabile.

E potrei rimediare, e so come, basterebbe farlo.



Alessandro Berrettoni

sabato 21 gennaio 2012

Elucubrazioni Mattutine


Il semaforo era rosso, come il mio cuore che in quel momento stava battendo forte, per te, per me, per noi.
I ricordi valgono eccome in un mondo che si imbozzacchisce sempre di più, che si sgretola tutt’intorno, i ricordi valgono, rimangono, si coltivano, le promesse si mantengono, fino al punto in cui capisci che la strada che hai intrapreso forse non è giusta, che quando eri a quel semaforo, che era rosso come il tuo cuore che sanguinava, dovevi andare diritto, non girare.
Dovevi capire tutto quando non capivi niente, essere cosciente.
Il semaforo era rosso, come un cuore che batte, che suona, che vive, che fa vivere; un momento dura solo un momento ma a volte è un’eternità.
Le scelte di una vita, il poterle cambiare, lo scatto di un semaforo; sapere dove andare.
Dovrebbero inventare un navigatore per la vita, che sia aggiornato con la tua volontà, con i tuoi desideri, in modo da saper sempre dove girare, quale strada prendere, che mica è così facile sapere dove ti portano prima di intraprenderle.
Mica è facile aspettare lo scatto di un semaforo, che era rosso e sta diventando verde, come la speranza di essere qualcosa di più, di vedere oltre, di esserci, comunque e indispensabilmente, aspettarlo come si aspetta qualcosa che è innato ma non si è quasi mai trovato, quel bisogno necessariamente sufficiente a farti conoscere tutte le strade del mondo, senza averle percorse mai.

giovedì 19 gennaio 2012

Dichiarazione d'intenti (speriamo sia la volta giusta)

Ho deciso di ridare un senso a questa specie di blog.
Ho deciso cho d'ora in poi lo curerò, come se curassi me stesso, ché in fondo non è altro che un estensione del mio essere (o almeno dovrebbe).
Ho deciso che magari non tutti i giorni (troppo impegnativo) ma spesso farò una capatina e scriverò due righe, lo stretto necessario a farmi sentire meglio, svuotato, a posto.
Una specie di missione, di dichiarazione d'intenti, che mi garantisca l'obiettivo, e mi ci faccia arrivare degnamente.
Non pubblicherò dunque solo e soltanto gli articoli che scrivo ogni due mesi per L'Atipico, ma cercherò di riempire, anche grazie a questa nuova grafica, la tavola di fogli, da sovrapporre, mischiare, accartocciare, ma non buttare.

A chi mi legge, grazie, a chi non lo fa, lo stesso.

Alessandro Berrettoni

martedì 17 gennaio 2012

Dal telefono

In diretta dal mio telefono. Incredibile!
La giornata è stata segnata dalla disarmante telefonata de falco schettino con la solita contrapposizione tra i due modi di essere italiani, ligi al dovere (per questo eroi? Mah..) e vigliacchi impauriti in fuga dalle nostre responsabilità, create per le nostre colpe fra l'altro.
La dicotomia degenera in banale generalizzazione, bieca e schiacciante rovina dei nostri tempi, per cui necessariamente il mondo si divide fra schettini e de falco:vera triste constatazione o manipolazione della notizia?
Di certo c'è che a far notizia è che l'anomalia sia l'incazzatura doverosa di de falco, che fa il suo dovere e per questo diventa un eroe.
Ci siamo ridotti a questo?

La speranza dunque é che per ogni schettino ci sia un de falco che almeno controbilanci.

Buonanotte.
Ripeto che sto scrivendo dal telefono (e non è un tweet questo)

Alessandro Berrettoni

Sfoghi serali


Lo sfogo serale è pratica ormai pressoché universale: tutti arriviamo alla tanto attesa sera, dopo una giornata chi più chi meno logorante, riposante, stressante e chi più ne ha più ne metta, ci colleghiamo al nostro/i social network preferito/i e esterniamo all’universo conosciuto o meno il nostro sfogo.
E’ pratica dicevo universale, che ci consente il più delle volte di ricevere numerosi pollicini su o retweets e che ci fa andare a letto più felici, perché ammettiamolo: il riconoscimento sociale derivante dall’apprezzamento di quello che dici su internet è fondamentale!
E’ forse per questo che mi sono iscritto a tutti (o quasi) i sn del mondo internettiano? E’ puro bisogno di sentirsi importanti da parte di persone che nella maggior parte dei casi nemmeno stimiamo o che reputiamo alla stregua dell’ormai tristemente noto comandante schettino? O è puro istinto di restare sempre connesso con tutto quello che succede, necessità di sentirsi geek, tecnomaniaci, così da poter dire di essere arrivato prima?
Devo ammettere, in verità, che adoro la rete (nelle sue parti migliori), la trovo creativa, innovativa, vero deus ex machina che può permettere a chiunque di trovare il giusto spazio, e trovo che ci sia un certo accanimento da parte della maggioranza delle persone a usarla invece come mera fonte di barsport (nell’accezione becera del termine).
Forse, quello che ho scritto non ha molto senso, non è compiuto e non sono arrivato dove volevo, ma in fondo è solo un ennesimo sfogo serale.

venerdì 13 gennaio 2012

(UN ABBRACCIO) - da "L'Atipico" Novembre - Dicembre 2011


Il passaggio epocale (e quasi antropologico) dalla perenne cena trimalchionis cui si era ridotto il Berlusconi IV alla cupa grigiosità, la compostezza e la seriosa, burocratica ma indiscutibile competenza del governo Monti è efficacemente rappresentativo della (dis)unione di un paese che proprio in questo anno si sarebbe dovuto ritrovare compatto nel celebrare il suo 150esimo compleanno.
E certamente questo determinato periodo potrebbe dirsi apicale oltre che epocale, uno di quei rari momenti dove ti accorgi che (forse?) un’era sta concludendosi e un’altra auspicabilmente più rosea sta per partire, una di quelle parentesi della storia che ne chiudono ciclicamente altre rimaste lì ad aspettare la stretta di un abbraccio ( ).

Che non siano bastati 150 anni per fare gli italiani, ancora intontiti dal ronzio delle orecchie e dall’imbambolamento tipico di chi si è svegliato solo ora da una gigantesca sbronza di berlusconismo è purtroppo evidente, come è evidente che non basti un tanto atteso abbraccio tra parentesi per risolvere il peccato originale di una nazione che si è trovata ad essere uno stivale con la cerniera che non si chiude.

Che poi qual è l’idea di patria, di nazione, di territorio, della concezione del suolo natio che ha l’italiano medio, quello ancora anestetizzato dalla dose massiccia di chiappe e reality che la “rivoluzione liberale” di Silvio gli ha iniettato?

L’italia s’è (or)mai desta?

Ci sono dei momenti della storia che sembrano grandi ferite aperte e sanguinanti, di quelle che per tamponarle ci vuole una catena umana di milioni di persone ognuna delle quali aspetta il suo turno con la consapevolezza di essere ugualmente fondamentale.
Momenti in cui tutti sanno qual è la cosa giusta da fare.
Il 1861 è stato uno di questi momenti.
Al di là di ogni retorica, ché è facile abusarne, ne stiamo vivendo uno simile ora.

I problemi, le fratture, le cerniere, non si risolvono così, agitando al vento parole, ma con la consapevolezza e la bellezza della giustizia di un gesto; forse quelle parentesi non sono altro che braccia, che aspettano quelle di un fratello (d’Italia, s’intende) per stringersi in un abbraccio collettivo, che varrebbe più di tutti gli ossequiosi cerimoniali cui siamo stati costretti ad assistere quest’anno.




Alessandro Berrettoni