martedì 26 marzo 2013

Il grillino che è in me

Dicesi "parlare alla pancia" il costume, non nuovo, di chi con i propri discorsi riesce a rintuzzare quel fuocherello che abbiamo dentro, mai sopito, che ci istiga, muove la nostra passione politica da-bar, e ci fa pontificare.

E il guaio è che tutti abbiamo "quella" pancia, il guaio è che quel fuocherello è talvolta una brace, altre un falò su cui invitiamo gli amici a suonare la chitarra.
E se, come è altresì costume, questo sì nuovo, diamo per scontato che il MoVimento 5 stelle parla "alla pancia del paese", è ovvio che c'è un grillino in ognuno di noi.

Vorremmo tutti un parlamento che si taglia con un grillino?
Questo non so dirlo, ma è certo che l'italiano (medio, non solo il dito), si compiace quando il suo borbottio stomachevole diventa condiviso.
Detta male, quando fai un rutto a fine pasto, vuol dire che hai gradito.

Il punto è: quanto questa identificazione diventa falò e quanto invece resta brace.
Certo, intorno ad un falò è sempre bello stare, ma poi arriva la notte-quella-vera, la tragedia, e inevitabilmente, si spenge. Diventa esso stesso brace.
Se nessuno lo rintuzza.

Ecco, io credo che 60 milionii di braci non facciano un falò, ma bisogna vedere.
la bellezza dei falò sta nel fatto di essere condivisi, non ci può essere un solo fuochista, o un solo suonatore, insomma.

In definitiva c'è un grillino dentro ognuno di noi. Voi fate come volete, io ho sempre l'estintore.

martedì 19 marzo 2013

Una rivoluzione pop(e)

Una rivoluzione pop(e).
Su tanti fronti. Non che sia necessariamente un bene, per ora è un dato di fatto.
L'essere comune come ostentata ragione di vita, di comportamento, etica.
I grillini e il Papa.
Un accostamento piuttosto bizzarro ancorché vagamente profano.

Ma, tant'è, la giornata di sabato verrà forse dimenticata dai libri di storia, già ingorgati di fatti, nomi, più che gesti.
Un pontefice che parla di chiesa povera, le seconda e terza cariche dello stato che danno il la ai loro mandati citando come priorità l'emergenza sociale, la situazione delle donne, la mafia come il vero cancro che si impossessa anche delle stanze dei bottoni ("anche di quest'aula"). Insomma, roba che non si vedeva da tempo immemore, da quando cioè l'Italia era simbolo di qualcosa di universalmente riconosciuto come buono.
La genialità, l'essere all'avanguardia, che è stata lentamente sostituita dalla tipica furbizia di chi tenta di fregare il prossimo, che sia uomo, donna o Stato, per il proprio interesse.
Mors tua, vita mea.
Certo, l'hanno detto i latini, l'abbiamo detto noi.
Quell'aula, definita in tempi bui come un bivacco di manipoli, si è trasformata con un esegesi pop in un'ostentato paese reale. Fin troppo, e ora si fa a gara, si cerca di nascondere la vecchia politica dietro apriscatole posati come pietre sugli scranni, come creme antirughe comprate e mai usate, ché poi in fondo non ce n'é mai stato bisogno.

Al di là del Tevere un'altra rivoluzione copernicana (anche qui, l'accostamento non è casuale), baci, abbracci, nono, vado a piedi, anelli d'argento, addio scarpe di Prada.
Si prova a rimediare attraverso una comunicazione immediata.
È la storia che si fa gesto, in barba alla divinità.
Ma spero che non si cada nell'ingenuità, quella mai celata, di credere che il (nostro) mondo cambi davvero. Spero non si creda in aperture impossibili, in quanto tali, da chi deve pur fare il suo mestiere.
Certo, è già qualcosa, mi si dirà, e non posso, anche volendo, obiettare niente.

Nell'attesa ci godiamo momenti di raro benessere, di radicale e puro pop, che in fondo è un diminuitivo di popolare.
Senza troppe pretese, che in fondo fanno male, al cuore, alla penna e alla mente.
Ci aggrappiamo a questa nuova era, che lancia strali attraverso tweet e account ufficiali o ufficiosi, che ci fa sentire come se non avessimo bisogno di intermediari.
Ma anche loro, devono pur fare il loro mestiere.

mercoledì 13 marzo 2013

My way, the only way

Forse non è aberrazione, quella mai, o mal celata sensazione che mi fa storcere il naso di fronte all'inevitabile.
Forse è semplice presa di coscienza.
Che cresce, che diventa sempre più pesante, come un boccone indigesto ma necessario, fondamentale nutrimento.
Credo che in fondo, l'unico dovere nei nostri confronti sia l'accrescimento continuo e incondizionato,
La fame. Di cultura, di volontà, di autocompiacimento, più che di autoconservazione.
La vittoria della coscienza sulla sopravvivenza.
Sarò pretenzioso, lo sono sempre, ma è quello che voglio.
Non accontentarsi. L'unica strada che il mio navigatore mi fa fare.
Non la più breve, non senza pedaggi, ma l'unica percorribile.
Ci sono incroci, deviazioni, c'è l'incognita, avvoltoio che tutto domina, ma non bisogna uscire, tenere il volante dritto e andare.
Dove? Non si può essere sicuri di saperlo, ma solo sperare che quel navigatore faccia sul serio, e ascoltarlo come si ascolta se stessi, forse perchè è noi stessi.
Non c'è spazio per strade perdute di lynchiana memoria, perchè perdersi è inaccettabile..

lunedì 11 marzo 2013

Per giunta

Come se non bastasse.
Giochi linguistici apprezzabilii, sforzi inconsapevoli.
La giunta è una forma di governo.
Unire contatti, amicizie.
Per (la) giunta.
Anche se.
Pressioni d'ogni tipo, al di qua di un mondo ancora troppo casuale.
Pensieri, parole, opere. O missioni?
C'è una gran confusione sotto il cielo.
Punti, e virgole.

Si fa un gran parlare di accordi, accrocchi, governicchi, governissimi, ma quel che manca è la sensazione di un'incazzatura che si è fatta rabbia, di uno sdegno che si è fatto aprioristico bastiancontrariesimo.
Manca il compromesso.
Per giunta sempre più vituperato, come odiati manifesti che invece che imbrattati vengono strappati, su cadenti mura di miserabile gusto estetico.

Manca una volontà. Politica, individuale, nazionale.
Manca una morale, una che sia una.
Mi manca, mi manchi.
Per giunta, come se non bastasse, ci siamo noi.
A riflettere come specchi rotti, che portano anche sfiga.
Per giunta.

venerdì 8 marzo 2013

Sono le 8, marzo

Rosa Luxemburg propose l'8 marzo come festa della donna per ricordare l'incendio dell'industria cotton di NY.
129 donne persero la vita dopo che il proprietario ebbe bloccato le porte dello stabilimento in cui lavoravano per fermare le proteste contro le condizioni di lavoro in cui versavano.
Ma l'8 marzo è qualcosa di più. È solidarietà, è partecipazione, specialmente in tempi che ci ostiniamo a chiamare moderni, nonostante la predominanza del machismo a tutti i costi, che sfocia purtroppo spesso in violenza, in femminicidio.
Orrore, invidia, presunzione, il credere che il lato rosa sia per l'uomo una coccarda da sventolare, da esporre, ostentare come un (p)ossesso.

La principale differenza tra i generi secondo me è una: le donne sono multitasking, riescono cioè sempre a fare piú cose contemporaneamente. E a noi non va giù.
Sono per forza di questo più adatte di noi ai tempi correnti, alle corse, allo stress.

Sono il motore, ma noi ci ostiniamo a rimanere attaccat allo sterzo.
Non mi piace mai essere retorico, ma i dati di fatto mi affascinano, le poche certezze che sento mie.
Mentre il mondo sotto scorre, il lato rosa dell'umanità è quello più pratico, ma allo stesso tempo più sognatore, è il complemento necessario e sufficiente.

Non riusciamo ad accettarlo, noi, omuncoli che si ostinano a credere che il potere sia virilità, ad additare colleghe, amiche, personalità su un lato pressoché univocamente pregiudiziale.

Le quote rosa sono la perfetta espressione di questo meccanismo, mentre dovremmo accettare come data l'ormai evidente realtà che non ha senso quantificare, ma qualificare, quello sì.

mercoledì 6 marzo 2013

E la sveglia suona

Fare. Per fermare qualcosa.
Sempre e comunque giri di parole, interrotte, intellegibili.
Sveglia.
Rendersi conto in grigie mattinate chel'unica strada percorribile è quella dell'automiglioramento. Fisico, forse, ma soprattutto intellettuale.
Non adagiarsi, non allentare mai la presa, per trovare qualcosa in cui eccellere.
In tempo, sempre.
La sveglia suona, ogni mattina, ti strappa da sogni fin troppo reali, a volte. Altre no, ma è come se lo fossero.
La sveglia suona, sempre, ti ricorda che sei reale.
Fare, per svegliarsi dal torpore.
Essere, per non morire ogni giorno.
Come acqua che sgorga fresca dalla sorgente, siamo in attesa di assetate bocche da rifocillare, in un circolo non vizioso, ma sopravvivente in sé.
Vedo attimi fuggire dalle mie mani, e la mia impotenza mi rende impietoso.
Vedo braccia intersecarsi alla ricerca di qualcosa che si è perduto troppo presto, troppo in là nel tempo per ricordarsene.
E la sveglia suona, e se ne va con quello squillare quello che non potrò mai trovare.
La maschera, ogni mattina, va indossata, per rendersi adeguati, per credere di esserlo, perlomeno,
E la mia voce rimane afóna, ma io la sento.
Per Dio se la sento, come quella sveglia che suona, ogni mattina,ma anche in certi grigiori.
Le nebbie che mi circondano sono solo fumo negli occhi.
La pioggia che batte è solo un pianto.