mercoledì 3 aprile 2013

Il suono del silenzio (ma non c'entra né Simon né Garfunkel

Odio il silenzio, forse perché mi piace oltremodo.
Parlo di quello immeritato, inaspettato, quel vortice se entri nel quale è difficile, se non impossibile uscire.
Imbarazzo, mancanza di argomenti, vergogna, giocano sicuramente un ruolo non secondario, ma non bastano a spiegare quella sensazione di vuoto, di impotenza, a cui ti obbliga un silenzio di quelli lì.
Siamo oberati di informazioni, visive, più che altro, ma anche sonore onde, che poi se le vedi inuno schermo ti chiedi come sia possibile.
Un su e giù continuo, è questo la nostra voce, la musica che ascoltiamo, i rumori di sottofondo.
Una serie di onde, su cui non si può surfare, ma solo soccombere oppure annichilirle.
È per questo che amo il silenzio, anticonformista e imbarazzante, fuori moda e disarmante.
E mi dicono che sono un chiaccherone.
Nascondiamo le nostre debolezze dietro flussi di parole, o barricandoci dietro cuffie che pompano il nostro isolazionismo.
È per questo che odio le discoteche, tutti lì, in quel limbo talmente rumoroso da sembrare silenzio.
Sì perché proprio l'assenza di rumore è forse l'alleato perfetto della socialità. È da lì che nascono i rapporti, nell'atavica forma del vis-a-vis. Da silenzi che obbligatoriamente vanno coperti, come corpi freddi in una gelida notte.
Parole come tetti, a darci riparo.
E forse la colonna sonora perfetta è quella, un lungo susseguirsi di non rumore che, John Cage ci ha insegnato essere fin troppo disturbante, perché impossibile da affrontare da soli.

E forse, ancora, l'unica soluzione è l'ascolto, restare in silenzio per capire le distanze di sicurezza. Poi uno le oltrepassa, ma delimitano il nostro essere; poi uno ne parla, e le distrugge, ma ci fanno capire che non vogliamo essere soli.
E dunque, sarò blasfemo, ma il vero patto sociale non si è basato, Hobbesianamente, sul desiderio di sopravvivere alla guerra tra gli uomini, ma sul desiderio di riempire quei silenzi.
D'altronde, non mi ricordo chi l'ha detto, la prima forma di comunicazione è il grido, che in quello schermo appare come una simmetrica onda che sfonda i confini, quelli sì mere convenzioni insostenibili.

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