domenica 24 febbraio 2013

L'insostenibile eccitazione di quella crocetta

La prima crocetta della mia vita mi fu strappata per una settimana, quella settimana che ricorderò come quella in cui mi resi conto che sarei diventato un uomo solo quando avrei potuto metterla veramente.
Avevo 17 anni, quel 13 aprile del 2008, ma ancora per poco.
Alcuni miei coetanei più fortunati e precoci di me si prestavano con riluttanza a quel gesto che lasciava in loro un senso di incompiutezza, forse, oppure quell'amarezza tipica che ti lascia un caffè senza zucchero, se sei abituato a berlo zuccherato.
Io sì che mi sentivo incompiuto, in quella maledetta settimana.
Come se la scia di quella matita portasse dietro di sè tutta una parte della mia vita.
Una crocetta, più che su un simbolo, era per me come dire addio, finalmente, a una fase prolungata di un'infanzia che ormai mi stava stretta.
Cercavo surrogati di ogni tipo, in quella settimana, che mi facessero dimenticare di un diritto negato. 7 giorni.
Ero una casa finita, ma non mi avevano consegnato le chiavi.

E ancora, ogni volta che chiudo la tendina della cabina, torna dentro con me il mio io di allora, provo un brivido, ogni volta, un'eccitazione difficilimente paragonabile a qualsiasi altro gesto tangibile.
Non mi resta nient'altro, in quei momenti.
E ogni volta che prendo in mano quella matita, e faccio una crocetta, è come se mi muovesse una forza superiore, quelle che trovi solo dentro di te, perché sono te.
La forza di un diritto negato per una settimana.
La forza di un bambino che si accorge di essere diventato qualcosa di più.
Datemi una matita, non sposterò il mondo, ma ogni volta cancellerò la vita che sono stato costretto a vivere, ed evidenzierò quella che mi sono scelto.

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