martedì 19 marzo 2013

Una rivoluzione pop(e)

Una rivoluzione pop(e).
Su tanti fronti. Non che sia necessariamente un bene, per ora è un dato di fatto.
L'essere comune come ostentata ragione di vita, di comportamento, etica.
I grillini e il Papa.
Un accostamento piuttosto bizzarro ancorché vagamente profano.

Ma, tant'è, la giornata di sabato verrà forse dimenticata dai libri di storia, già ingorgati di fatti, nomi, più che gesti.
Un pontefice che parla di chiesa povera, le seconda e terza cariche dello stato che danno il la ai loro mandati citando come priorità l'emergenza sociale, la situazione delle donne, la mafia come il vero cancro che si impossessa anche delle stanze dei bottoni ("anche di quest'aula"). Insomma, roba che non si vedeva da tempo immemore, da quando cioè l'Italia era simbolo di qualcosa di universalmente riconosciuto come buono.
La genialità, l'essere all'avanguardia, che è stata lentamente sostituita dalla tipica furbizia di chi tenta di fregare il prossimo, che sia uomo, donna o Stato, per il proprio interesse.
Mors tua, vita mea.
Certo, l'hanno detto i latini, l'abbiamo detto noi.
Quell'aula, definita in tempi bui come un bivacco di manipoli, si è trasformata con un esegesi pop in un'ostentato paese reale. Fin troppo, e ora si fa a gara, si cerca di nascondere la vecchia politica dietro apriscatole posati come pietre sugli scranni, come creme antirughe comprate e mai usate, ché poi in fondo non ce n'é mai stato bisogno.

Al di là del Tevere un'altra rivoluzione copernicana (anche qui, l'accostamento non è casuale), baci, abbracci, nono, vado a piedi, anelli d'argento, addio scarpe di Prada.
Si prova a rimediare attraverso una comunicazione immediata.
È la storia che si fa gesto, in barba alla divinità.
Ma spero che non si cada nell'ingenuità, quella mai celata, di credere che il (nostro) mondo cambi davvero. Spero non si creda in aperture impossibili, in quanto tali, da chi deve pur fare il suo mestiere.
Certo, è già qualcosa, mi si dirà, e non posso, anche volendo, obiettare niente.

Nell'attesa ci godiamo momenti di raro benessere, di radicale e puro pop, che in fondo è un diminuitivo di popolare.
Senza troppe pretese, che in fondo fanno male, al cuore, alla penna e alla mente.
Ci aggrappiamo a questa nuova era, che lancia strali attraverso tweet e account ufficiali o ufficiosi, che ci fa sentire come se non avessimo bisogno di intermediari.
Ma anche loro, devono pur fare il loro mestiere.

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