venerdì 13 gennaio 2012

(UN ABBRACCIO) - da "L'Atipico" Novembre - Dicembre 2011


Il passaggio epocale (e quasi antropologico) dalla perenne cena trimalchionis cui si era ridotto il Berlusconi IV alla cupa grigiosità, la compostezza e la seriosa, burocratica ma indiscutibile competenza del governo Monti è efficacemente rappresentativo della (dis)unione di un paese che proprio in questo anno si sarebbe dovuto ritrovare compatto nel celebrare il suo 150esimo compleanno.
E certamente questo determinato periodo potrebbe dirsi apicale oltre che epocale, uno di quei rari momenti dove ti accorgi che (forse?) un’era sta concludendosi e un’altra auspicabilmente più rosea sta per partire, una di quelle parentesi della storia che ne chiudono ciclicamente altre rimaste lì ad aspettare la stretta di un abbraccio ( ).

Che non siano bastati 150 anni per fare gli italiani, ancora intontiti dal ronzio delle orecchie e dall’imbambolamento tipico di chi si è svegliato solo ora da una gigantesca sbronza di berlusconismo è purtroppo evidente, come è evidente che non basti un tanto atteso abbraccio tra parentesi per risolvere il peccato originale di una nazione che si è trovata ad essere uno stivale con la cerniera che non si chiude.

Che poi qual è l’idea di patria, di nazione, di territorio, della concezione del suolo natio che ha l’italiano medio, quello ancora anestetizzato dalla dose massiccia di chiappe e reality che la “rivoluzione liberale” di Silvio gli ha iniettato?

L’italia s’è (or)mai desta?

Ci sono dei momenti della storia che sembrano grandi ferite aperte e sanguinanti, di quelle che per tamponarle ci vuole una catena umana di milioni di persone ognuna delle quali aspetta il suo turno con la consapevolezza di essere ugualmente fondamentale.
Momenti in cui tutti sanno qual è la cosa giusta da fare.
Il 1861 è stato uno di questi momenti.
Al di là di ogni retorica, ché è facile abusarne, ne stiamo vivendo uno simile ora.

I problemi, le fratture, le cerniere, non si risolvono così, agitando al vento parole, ma con la consapevolezza e la bellezza della giustizia di un gesto; forse quelle parentesi non sono altro che braccia, che aspettano quelle di un fratello (d’Italia, s’intende) per stringersi in un abbraccio collettivo, che varrebbe più di tutti gli ossequiosi cerimoniali cui siamo stati costretti ad assistere quest’anno.




Alessandro Berrettoni

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