giovedì 16 febbraio 2012

Il Mondo Nuovo (o dell'intellettuale degli anni 0)

“Il mondo nuovo” è un album che per apprezzare/odiare/giudicare va ascoltato diverse volte.

Va metabolizzato, digerito, come (e lo è) tutti quei lavori intellettuali corposi, con un forte background culturale che rispecchiano e riflettono in sé stessi, come finestre dove entra un raggio di sole che poi attraverso il vetro cambia direzione e si vede bene; come se tutto quello che c’è dietro venisse fagocitato, e poi vomitato fuori (l’immagine non è bella, lo so, ma dà il senso di quello che voglio dire).

Il titolo lo conosciamo bene, ci rimanda a quel capolavoro distopico di Aldous Huxley , quel Brave New World che insieme ad altri ha creato in noi l’immaginario fantascientifico (proprio in questi giorni, grazie agli Air, sono stato tentato di riguardare il mitico “Le Voyage Dans Le Lune”, film questo proto fantascientifico e che, con quello che sto dicendo, non c’entra proprio niente) da futuro-stato-totalitario-in-cui-tutto-è-pianificato-nel-nome-dell’ideale-produttivistico e bla bla bla.

La premessa necessaria è che Capovilla e soci volevano intitolarlo Storia di un immigrato, perché concepito come un concept album sull’immigrazione, appunto; ma, forse, visti gli ovvi riferimenti deandreiani (storia di un impiegato) e alle accuse cui sarebbero inevitabilmente andati incontro, hanno deciso di virare verso altri lidi, sempre intellettual(oid?)i come ormai ci hanno abituati, per non evitare spiacevoli confronti (che secondo me comunque reggerebbero, se rivalutasse storia di un impiegato al costo attuale della vita).

E comunque questo album, che non ha la forza d’impatto prorompente del meraviglioso Dell’Impero Delle Tenebre né la perfezione formale di A Sangue Freddo, è una storia a sé, e di certo, anche se può piacere meno dei precedenti agli “irriducibili” del sound puramente noise del Teatro, rimane un perfetto spaccato dell’Italia di oggi, con i soliti riferimenti (soprattutto i tanto amati russi, ma non solo) intellettuali che l’amato/odiato Capovilla piazza qua e là.

È inoltre secondo me assolutamente coerente con la poetica che il Teatro ha finora portato avanti; c’è la solita preponderanza, forse qui ancora più calcata, del frontman, che però ormai ha creato un personaggio (“io amo il silenzio operaio intorno alla mia figura”) imprescindibile; accusato di essere un falso profeta, è invece secondo me uno dei pochi capaci di dire qualcosa, oggi, in Italia; qualcosa di scomodo, non con le solite parole da Festa de l’Unità (vedi MCR, Bandabardò e simili), ormai fritte e rifritte, ma contestualizzando la figura dell’intellettuale agli anni zero, con la carica di nichilismo e distruzione che ne rimane (pur se qui meno evidente rispetto agli echi di Majakowskij e E Lei Venne).

La critica si è divisa, riducendo un’opera di questo livello a un sondaggio sull’idea capovilliana, accusata di non essere più così chiara o magnificata come summa di faber + battisti oggi.

Io credo, citando il caro Emilio Banchetti, che il mondo nuovo sia un album antropologico, nel complesso senso che gli dà il Teatro di analisi sociale di un fenomeno, l’immigrazione, che in Italia assume determinati significati.

Un album che forse nessun altro, oggi, in questo paese, si permetterebbe di fare; non sarebbero in grado, né liricamente (soprattutto) né musicalmente

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Qui dentro ci sono i Melvins, c’è Dylan, c’è Artaud, c’è Pasolini, c’è Huxley; soprattutto c’è Capovilla, c’è il Teatro degli Orrori, a assorbire tutta questa luce e a trasformarla, rendendola simile al buio fumoso e luciferino (non nel senso di portatore di luce, sarebbe un ossimoro non necessario) che si respira nei loro concerti.


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