mercoledì 15 febbraio 2012

Un divano è quello che ci vuole (da "L'Atipico" Gennaio/Febbraio 2012)


Sono più o meno sempre stato uno sportivo.
Come già scritto e detto anche su queste pagine, ho nuotato a livelli piuttosto buoni per molti anni della mia vita.
Poi a un certo punto ho deciso che le mie esigenze erano cambiate, ho deciso che forse la mia vita doveva e poteva essere di più di un bagno di due tre ore al giorno,
Avevo grandi idee, grandi progetti, e mi sono ritrovato un modo solo per realizzarli: il divano.
L’eterna lotta tra sport e divano è dunque stata per me nettamente impari: prima solo sport, poi solo divano, niente vie di mezzo, niente alternative.
Devo dire che come prima ogni tanto sognavo il divano, lo idealizzavo a fini anche meramente votivi (?) adesso (dopo l’età dello sviluppo) lo giudico, lo ritengo responsabile della mia deriva fisica e, perché no, anche mentale.

Quella specie di oggetto perfettamente progettato come un imbuto, che ti attrae a sé e ti tiene fra le sue grinfie cullandoti mentre guardi un film, ascolti musica, pubblichi cazzate sui social network.
È una forma di amore/odio, non vorrei ma finisco sempre lì, e restarci è quello che in quel momento mi serve, anche se non riesco mai a trovare una posizione adatta, ché quando succede è l’ora di alzarsi.

Strane leggi del cosmo, stai nel tuo divano per ore, fino a quando hai raggiunto l’armonia dei sensi (per Homer sarebbe la conchetta formata dalle chiappe, formatasi dopo anni di duro lavoro) ed è proprio quello lì il momento in cui qualcosa di catastrofico accade.
Che sia lo squillo del telefono assurdamente e erroneamente posato troppo in là, o la cena che è pronta o altre mille cause e concause.

Ché poi il divano a esser più seri potrebbe essere metafora dell’amore, della felicità.
Tutte cose che ti attirano e non riesci mai a dire di no; poi, quando le hai raggiunte, accade qualcosa e via, devi fuggirle, ti devi alzare da quel divano che non può né deve essere esclusivamente la tua vita.

Sto scrivendo davanti al computer, su una sedia e qui accanto vedo qualcosa che mi sta chiamando a sé.

Non resisto, addio.

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